storia della rivista

 

La Rivista “Cronica Regia” fu una rivista d’arte poetico umoristica, divulgata in carta, gratuita e con una tiratura che raggiunse le 6.000 copie, distribuita principalmente nella biglietteria della Reggia di Venaria Reale, negli appartamenti reali del parco La Mandria, nella biblioteca di Venaria Reale e di Vinovo, al Teatro Concordia e in vari luoghi venariesi, di Torino e provincia. Fu fondata da Marco Testa nel marzo 2009 ed edita, impaginata e messa in grafica dallo stesso, cinque volte l’anno sino al marzo 2014.

La Rivista “Cronica Regia” nacque inizialmente da una personale necessità d’espressione artistica e poetica di Marco Testa, dal pensiero che come lui altri l’avrebbero potuta avere, e le collaborazioni si allargarono velocemente in vari ambiti sociali, molti i poeti e gli artisti che trovarono spazio nelle sue pagine. Fu una rivista libera, aperta al nuovo e in continua evoluzione, apolitica, “aconfessionale”. A governare la “Cronica Regia” fu unicamente l’amor per l’arte, nelle sue molteplici forme di espressione. La sua uscita regolare fu possibile grazie agli spazi pubblicitari venduti e alla buona disposizione della Cooperativa Sociale Marca che la stampava. La “Cronica Regia”, per sua scelta, non provò a ricercare sostegno di contributi pubblici.

Tra i collaboratori più stretti della rivista ricordiamo in ordine sparso: Eliana LittarruMaria DematteisConsolata LanzaCarlo Mariano SartorisMario CelesteLorenzo MullonDarinka Mignatta, Sergio Sut, Antonella MenzioDonatella GarittaStefania Groppo, Carmen Malfitani, Claudio DecastelliGiuseppina RanalliMario Girolamo Gullace, Antonio Trombetta, Giorgio Papa e il buon vecchio Andrea. Il Direttore Responsabile della “Cronica regia”, nonché principale collaboratore che sposò il progetto sin da subito, fu il geniale e compianto Franco Cannavò, creatore ed editore della storica Rivista “La Tampa”.

Su Franco Cannavò

Franco Cannavò, abbandonò la sua dimensione terrena il 2 gennaio 2015. Quando giungemmo alla camera mortuaria ove il nostro Franco attendeva d’essere fatto bello – il trucco e patrucco, diciamo così, per lo spettacolo finale – era primo pomeriggio. Eravamo io, Eliana e Roberto. Loro due conoscevano Franco da molto prima di me e in auto andando all’ospedale ricordavano gli scherzi che era solito fare agli amici, alcuni davvero pazzeschi, tipo il suo finto matrimonio poi rivelatosi l’unione tra un asse da stiro e un’aspirapolvere. Nacque quindi in noi la speranza che fosse anche questo uno scherzo, non era poi così inverosimile. Ci immaginammo che il morto fosse magari un omonimo, che Franco ebbe occasione di scoprire e che magari fosse anche povero, solo al mondo, senza amici e infelice. In questo modo Franco gli avrebbe fatto una sorta di omaggio, almeno in morte, di una qualche attenzione.  E quando lo vedemmo in rigor mortis e ancora da truccare non sembrava neanche lui. Cominciammo a girare intorno al letto e ad osservarlo in ogni parte, cercando di cogliere una qualche differenza somatica, sezionandolo visivamente, occhi e naso, bocca e così dire. Ma lui niente, seguitava a rimanere immobile. In quel turbine di girare di amici intorno, in quella sorta speranzosa di un girone demenziale. Ci mancava solo che gli facessimo il solletico ai piedi aspettandoci una reazione. Poi notai che Eliana, non troppo alta di statura, faticava a vederlo bene frontalmente in volto. Quindi la immaginai salire su una sedia, la sedia traballare, lei cadere su Franco. L’atmosfera si era fatta surreale. Mi avvicinai di nuovo al suo volto e dopo un po’ che lo guardavo ebbi come la sensazione di percepire un alito uscir dalle sue labbra, riconobbi chiaramente la sua espressione, compresi che era tempo di accettare la sua sorte. Era proprio lui. Proprio lui fino alla fine, riuscendo a farci ridere pure il giorno della sua morte. Ridere, malgrado, l’amaro che rimase.

  • Ciao, Franco. Grazie per le risate fatte insieme negli anni e per la tua disponibilità che non ebbe mai a mancare.

 

Marco Testa

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