POEAT è un personaggio inventato da Marco Testa, intorno alle due e sessantuno di un mattino di primavera; forse, colto da fame chimica.
POEAT, è un altro modo di definirsi Poeta.
POEAT adora i calembour, le parole, musicarle e assonarle, scomporle, spolparle, cercandovi l’osso, del posso, provare maggiormente a comprenderle. È sempre più convinto che se si conoscesse l’esatto significato d’ogni singola parola, come è nata, contesti di utilizzo e sfumature, si avrebbe un sapere (e non ultimo un sapore) dell’esistere e nel fare superiore. Questioni di comunicazione.
POEAT, nel suo comporre, ha certamente un’idea di quel che vuol dire, ma nel fare è secondaria. O meglio, non è sempre il concetto a guidare lo scrivere ma è una sorta di armonia musicale (sorta, anche nel senso che gli sorge in testa) che lo spinge a ricercare quella precisa parola che suoni bene. E quando la trova, ma in realtà vien da sola, si rivela anche adatta per il senso della frase: la parola par vi danzi, la parola… Par far la “Ola”. È incredibile. Come accada non lo sa, lui ne è solo esecutore.
POEAT, sperimenta varie forme di espressione, diverse discipline. Una di queste, è il comporre dei menù, tematici e surreali. Ossia menù, dove l’elencazione delle portate si rifà a un tema prestabilito, utilizzando parole inerenti. Per certi versi un po’ come, usava far coi suoi ragazzi Gianni Rodari, nella cucina spaziale.
In fin POEAT, è solito caricarsi con il vento, specie quello che preannuncia un temporale, allarga le braccia e se ne fa pervadere, ne assorbe la corrente elettrica che gli sembra di percepire. Vorrebbe vivere su un monte, volare, seguitare in buona sorte che non lo prenda un fulmine (in fondo, coi temporali, c’è poco da scherzare) ama bere, vino senza esagerare, acqua a non finire, non disdegna di mangiare, sognare e fare tardi, poetizzare. Morale della gabola: mai, che ipotizzi di lavorare! Ma forse è un bene.
Pertanto, con una cadenza mensale (nel senso di mensa e mensile, da non confondersi con “men sale”) POEAT, ci proporrà, alcuni suoi impiattamenti di parole: chiamateli pure “poesie”. Con la frequenza d’ogni uno, sette, dieci o trenta giorni. Dipende. Da quel che ha da fare, ma soprattutto, da quanti piatti deve lavare per pagarsi il pranzo nelle mense.
P.S. Le illustrazioni sono state realizzate da Darinka Mignatta.
P.P.S. Sui natali che s’ebbero, di Poeat:
Poeat, ad oggi, sta’ in tra versando la quarantena danni, piuttosto in salute, malgrado i postumi che si vanno ad assommare. I suoi natali di formazione principale, sono: i poeti dannati, i cattivi buoni maestri della letteratura, i libri di fantascienza e noir, quel che è grottesco, surreale, ma fin da prima infanzia i fumetti d’ogni specie. Inoltre Poeat, nutre da sempre una grande ammirazione per il Maestro di favella, per l’acrobata dei nessi e il funambolo di parole: Alessandro Bergonzoni. Senza dubbio, con geniale.
I natali di Poeat (quelli veri) si svilupparono nei primi anni a Torino, davanti e dentro al Cottolengo, di fianco al cimitero “degli impiccati” San Pietro In Vincoli. Cimitero al tempo chiuso al pubblico, con intrico di sterpaglie e di mirabili leggende, che alimentarono in lui fantasie d’ogni specie. In quel, di Via Robassomero.
Quanto ai natali genitoriali, Poeat, ha per madre la fantasia. Una madre sempre gravida di idee, vi è più cul in aria diciamo pure, che mai si ferma di partorire. Ma è risaputo, la mamma dei poeat è sempre incinta, come la mamma degli sciocchi, difatti Poeat è uno che sciocca, adora la gnocca, fare fesso a tutte ore. O almen, nelle sue fantasie. [del resto, mamma docet].
E il padre? Chi sarà, a ‘sto punto? Beh… Il vero padre non saprei. Al momento è rutilante “RUTH..! RUTH..! SPLUT..! RUTH..! Pardon, scusate, m’è venuto da digerire”. E rutilando rotola, di rosso acceso in posso, brillante, fiammeggiare. O almen, ci provo. Ops… “ci prova”, volevo dire. Mi sa che avete capito chi è il padre. EHM…
C’è anche un patrigno, però (in realtà più di uno) sebbene egli inconsapevole. Ossia colui che lo attornia di quel bluetto che vedete (lo so, fa un po’ cacare), non posso dirvi il suo nome, ma solo dirvi che ha una gran faccia, da book, del cool. Poeat, pur rispettandolo, cerca di vederlo il meno possibile. Questione di “a ppalle”.
AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA